PESCARA – Anche se in quelle tremende ore di gennaio in Abruzzo c’erano 300 mila persone senza luce, si moriva nelle frazioni, e non solo in montagna, per monossido di carbonio, c’erano paesi isolati da metri di neve, stalle che crollavano sotto a migliaia di animali, e c’erano pochi mezzi antineve per soccorrere una intera regione al collasso colpita da un maltempo di cui si era persa la memoria, quella strada doveva essere libera.
Se fosse stata libera la strada provinciale, il 18 gennaio scorso non ci sarebbe stata la tragedia dell’hotel Rigopiano, gli ospiti sarebbero andati via prima della valanga e non sarebbero morte 29 persone. Lo hanno messo nero su bianco i pm di Pescara Cristina Tedeschini e Andrea Papalia con l’iscrizione sul registro degli indagati di sei persone: il presidente della Provincia di Pescara, Antonio Di Marco, il sindaco di Farindola, Ilario
Lacchetta, e il direttore dell’albergo, Bruno Di Tommaso, i due funzionari della Provincia Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio più il dipendente del comune di Farindola Enrico Colangeli. Le ipotesi di reato sono di omicidio colposo e lesioni colpose. Il direttore dell’hotel Di Tommaso è stato indagato anche ai sensi dell’art. 437, per atti omissivi in ambito di sicurezza sul lavoro. Ma questa è solo la prima parte dell’indagine, condotta in primis dal Nucleo dei carabinieri forestali quidati dal tenente colonnello Anna Maria Angelozzi: nelle prossime settimane prenderà corpo un altra tranche e non sono esclusi ulteriori sviluppi.
Non a caso il padre di una delle vittime, Alessio Feniello, padre di Stefano, ha chiesto pubblicamente "Dove sono i nomi del Prefetto di Pescara e del governatore dell’Abruzzo?". Il padre di Stefano, che ha presentato dettagliato esposto nelle scorse settimane, si definisce "imbufalito", ma comunque in parte "soddisfatto" perché la sua "tesi nei confronti del sindaco, uno dei responsabili di quella tragedia, era corretta".
E’ mancato tutto, secondo i pm: l’attuazione dei piani valanghe, specie nel luogo dove sorgeva l’hotel, che uno studio del Forum H2O ha dimostrato essere stato costruito sui conoidi, ossia sui sedimenti storici, di vecchie valanghe. L’aggiornamento dei piani di emergenza, la "previsione, prevenzione e gestione dei rischi connessi anche all’attività aziendale (esercizio di struttura ricettivo alberghiera in zona di alta montagna a rischio isolamento per eventi atmosferici e valanghivi)". In tutta la vicenda gli indagati hanno avuto un comportamento con "negligenza, imprudenza e imperizia".
Il nocciolo dell’indagine, che ha viaggiato dalle testimonianze alle procedure, all’uso degli spazzaneve, dai piani preventivi di Protezione Civile al rispetto e messa in pratica degli stessi, è che in quelle condizioni l’albergo forse doveva essere chiuso e che i turisti o non avrebbero dovuto potevano salire a Rigopiano o dovevano essere evacuati. L’iscrizione tra gli indagati del presidente della provincia Di Marco e del sindaco di Farindola Lacchetta punta il dito sui principali responsabili, come da legge e per competenza, della protezione civile nel luogo della tragedia, ma nel proseguo delle indagini verranno messi in luce anche le responsabilità della Regione sui piani valanghe e sui piani rischio mai messi in atto.
IL PADRE DI FENIELLO: «DOVE SONO I NOMI DEL PREFETTO E DEL GOVERNATORE?». «Dove sono i nomi del Prefetto di Pescara e del governatore dell’Abruzzo?". È quanto si chiede Alessio Feniello, padre di Stefano, una delle 29 vittime della tragedia di Rigopiano, appresa la notizia dell’iscrizione di sei persone nel registro degli indagati, tra cui il presidente della Provincia e il sindaco di Farindola. Il padre di Stefano si definisce "imbufalito", ma comunque in parte "soddisfatto" perché la sua "tesi nei confronti del sindaco, uno dei responsabili di quella tragedia, era corretta". Il nome di Stefano Feniello, 28enne originario di Valva, ma residente a Silvi Marina, che era in vacanza a Rigopiano per festeggiare il compleanno con la fidanzata, Francesca Bronzi, scampata alla tragedia, due giorni dopo la valanga era stato inserito dalla Prefettura in un elenco di nomi di cinque superstiti che sarebbero arrivati a breve in ospedale. Ma si era trattato solo di un errore: Stefano, infatti, in ospedale non è mai arrivato.